Impianto elettrico | Schema, progetto, normative, costi e certificazione

impianto elettrico
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Impianto elettrico: le regole per progettarlo bene

In Italia la casa è considerata sacra: è uno dei sogno dei lavoratori, è un bene tra i più acquistati, si fanno grandi sacrifici e si accendono mutui pur di poter fare un acquisto così importante.

Non è facile però progettare la casa dei sogni, a partire da uno dei perni fondamentali di un’abitazione: l’impianto elettrico. L’errore in fase di progettazione è dietro l’angolo, e basta poco per provocare danni e inconvenienti anche nel futuro. Per progettare un impianto elettrico basterà seguire le regole e poche accortezze, e poi sarà possibile godere appieno della casa e di tutte le comodità a cui siamo stati abituati.

Basti pensare agli elettrodomestici, alla Tv e ai pc, per non parlare della luce: tutto passa dall’elettricità, e basta poco per causare un corto circuito o per provocare danni tali da richiedere il rifacimento dell’intero impianto. Il progetto impianto elettrico dovrà dunque partire da una serie di nozioni fondamentali per garantire al contempo tecnologia, sicurezza e comfort abitativo.

Gli impianti elettrici fai da te sono molto diffusi, ma come vedremo in seguito necessitano (ovviamente) di opportuna certificazione da parte di personale qualificato

Progettare l’impianto elettrico di casa, le componenti essenziali

Dopo una doverosa premessa legata ai termini legislativi e dei certificati che garantiscano la sicurezza e il corretto funzionamento dell’impianto, è il momento di capire quali siano i principali “protagonisti” dell’erogazione dell’energia elettrica in un’abitazione.

Il “motore” dell’intero impianto è il centralino, conosciuto anche come quadro elettrico. Solitamente, nelle abitazioni di più recente costruzione, esistono due centralini, uno principale che riporta i consumi (ed è solitamente posizionato fuori dalla casa in apposite cassette metalliche), l’altro interno all’abitazione, al cui interno sono posizionati sia gli interruttori magnetotermici che il salvavita.

A rendere più sicuro l’impianto è invece il sistema di messa a terra: si tratta di un impianto nell’impianto, che ha il compito preciso di salvaguardare la sicurezza in caso di improvvisi picchi di tensione. La corrente elettrica in eccesso si scarica al suolo, evitando complicazioni per gli abitanti della casa. Ben più noti anche ai meno esperti sono tutti gli interruttori e le prese elettriche.

Gli interruttori consentono di aprire e chiudere il circuito che regola il funzionamento dell’impianto di illuminazione, mentre le prese elettriche sono l’unica interfaccia utile per collegare alla corrente sia gli elettrodomestici che le apparecchiature elettroniche (dispositivi mobili, computer e altre comodità per la casa o per l’esterno).

Esistono poi i circuiti elettrici, che possono avere tre portate: le prese gestiscono 16 ampere ciascuna, luci e alimentazione 10 ampere, mentre i circuiti a chiamata (come ad esempio il sistema d’emergenza collocato nei bagni) funzionano a 12 volt.

Anche i cavi sono di tre tipologie, ognuno con funzioni specifiche. Per guardare i cavi è necessario intervenire sulla muratura, ed è per questo che è necessario l’intervento di una squadra di professionisti.

In ogni caso, i cavi più importanti sono quelli della corrente, e sono solitamente di colore nero, rosso, marrone o grigio.

Il cavo blu è quello neutro, mentre il cavo verde-giallo è quello che segnala la messa a terra. 

schema impianto elettrico

Schema dei punti luce

Schema delle prese

Impianto elettrico, la normativa CEI

Se è necessario progettare l’impianto da zero o bisogna procedere ad un rinnovo dello stesso, bisogna fare affidamento alla normativa CEI 64-8 e ai suoi aggiornamenti contenuti nel codice V3.

In questi testi sono infatti contenute informazioni molto importanti per l’installazione dell’impianto, ma riportano anche i requisiti minimi che l’impianto di casa deve rispettare. In primis, per l’installazione è obbligatorio rivolgersi ad un professionista che sia iscritto all’Albo regionale degli Installatori elettrici o appartenere ad Unae o Anie, ente promosso da Confindustria.

Nella fase di progettazione dovrà essere garantita la presenza di almeno una presa di tipo tedesco – le ormai note prese schuko – all’interno dei locali destinati al bagno e alla cucina, una soluzione per permettere l’utilizzo dei principali elettrodomestici che sono dotati di spinotti non “convenzionali”.

È importante non dimenticare di collegare il conduttore protettivo PE in maniera diretta al quadro generale: questa operazione consentirà di allacciare sia gli scaricatori di tensione già presenti in fase di progettazione, sia quelli che l’utente deciderà di installare in seguito.

L’impianto non può essere pensato senza interruttori d’emergenza, e il quadro elettrico dovrà essere dotato dell’interruttore generale, di almeno due differenziali e di una maschera salvavita che sia in grado di attutire eventuali danni per gli utenti.

L’impianto deve anche avere a disposizione un minimale del 15% di capienza modulare di riserva. È obbligatorio anche proteggere i cavi di conduzione all’interno delle apposite canaline, e allo stesso modo sia le prese che gli interruttori devono essere per legge coperti dalle mascherine protettive con i primi che devono distare 30 centimetri da terra – che salgono a 110 per i bagni e la cucina – e i secondi che possono variare tra 100 e 120 centimetri. 

L’evoluzione del testo di legge: la V3 e le sue implicazioni

Il testo della V3 prescrive la strutturazione degli impianti elettrici. Per garantire la sicurezza dell’impianto e dei locali adibiti ad uso abitativo, è obbligatorio impiegare i differenziali con insensibilità elevata ai disturbi elettromagnetici o quelli con dispositivo di richiusura automatica, ma anche differenziali in classe A per proteggere i circuiti degli elettrodomestici più potenti.

L’alimentazione elettrica deve anche essere predisposta di un’elettrovalvola per intercettare il gas domestico, che va posizionata nelle strette vicinanze dell’ingresso del gas, a cui va aggiunto un sensore nel locale da adibire a cucina.

La norma V3 introduce anche una differenziazione degli impianti in 3 livelli di comfort e sicurezza. Il primo livello, quello con lo standard minimo, deve garantire la distribuzione uniforme dei punti presa lungo le pareti, (senza considerare la comodità dell’installatore o il “gusto” del cliente nel posizionamento del mobilio), ma almeno una presa dovrà essere adiacente alla porta del locale.

A prescindere dal livello dell’impianto, il bagno deve avere un minimo di 2 punti presa, mentre per la cucina sono stabiliti i valori minimi di punti presa. I cavi telefonici e dell’antenna tv devono essere sempre associati ad almeno un punto presa, visto che sia i primi che i secondi necessitano di corrente elettrica per l’alimentazione.

Per i cavi televisivi è necessario collegare un minimo di 6 prese, distribuite in 2 punti presa differenti. Inoltre, nei pressi dell’ingresso, o all’interno o all’esterno, è necessario collocare l’interruttore dell’impianto di illuminazione, a cui possono essere aggiunti altri interruttori in qualsiasi altra posizione.

I punti luce sono obbligatori anche nel ripostiglio e nel locale d’ingresso, ma in quest’ultimo è necessario anche un punto presa. La legge V3 disciplina anche i punti luce e i punti presa dei terrazzi, giardini, balconi o portici con una superficie calpestabile superiore ai 10 metri quadrati; discorso analogo anche per cantine e box.

L’ultima prescrizione del livello minimo standard è la presenza in casa dei dispositivi di illuminazione di sicurezza, il cui numero varia a seconda della superficie dell’abitazione.

Meno dettagliata la dotazione del livello standard, che deve rispettare tutti i limiti imposti dal livello precedente, oltre a garantire l’installazione di un sistema di controllo dei carichi, a cui associare almeno un relè di potenza, funzionali a scollegare i carichi ritenuti non prioritari se l’abitazione supera la soglia di massima prefissata.

È un sistema innovativo, che annulla le possibilità di distacchi della corrente a causa dell’eccessiva richiesta di potenza. Il terzo livello è quello degli standard elevati: in questo caso, si può già parlare di domotica, fatta di ampie dotazioni impiantistiche votate all’innovazione.

Per ottenere tali standard, bisogna dotare l’impianto elettrico di almeno quattro delle seguenti funzioni: impianto anti-intrusioni, controllo e gestione dei carichi, scenari luminosi per la gestione della luce, gestione delle temperature, automazione delle tapparelle, controllo remoto, diffusione sonora, rilevazione dei fumi e degli incendi, sistema antiallagamento o di rilevazione di eventuali fughe di gas.

Impianti elettrici e sicurezza: ecco le certificazioni

Per quel che concerne le certificazioni, va fatta una doverosa premessa: secondo il Census, ogni anno in Italia si possono contare oltre 240mila incidenti provocati dal malfunzionamento dell’impianto elettrico. In tal senso, a far la differenza è una regolare manutenzione di prese, interruttori e cavi da parte del personale di competenza: una “mossa” obbligatoria per legge ma anche intelligente per motivi di sicurezza. Durante la manutenzione dell’impianto, le modifiche devono tenere in considerazione di due documenti di certificazione, il DICO e il DIRI.

Leggi la nostra guida specifica sulla dichiarazione di conformità impianti elettrici

Se l’impianto è stato realizzato prima del decreto ministeriale numero 37 del 2008, la Dichiarazione di Rispondenza può sostituire il Dico, ma solo in questo caso. Per tutti gli altri impianti, vale la Dichiarazione di Conformità, documento prodotto dall’elettricista al termine di una modifica all’impianto o ad installazione completata.

Qualora si intervenga solo su una parte dell’impianto, il documento sarà parziale. Tale documentazione è importante sia ai fini immobiliari per i rogiti, sia per ottenere il nullaosta per allacciare nuove utenze, nonché per ottenere il certificato di agibilità dell’abitazione.

Il momento decisivo: la progettazione dell’impianto elettrico

Sembra un’operazione di poco conto, e invece da questa idea progettuale dipende gran parte dell’abitabilità di una casa. I professionisti dell’elettricità devono valutare tre differenti variabili: la planimetria dell’abitazione, l’eventuale disposizione degli elettrodomestici presenti in casa e le esigenze pratiche degli utenti.

Ogni progetto deve puntare alla migliore distribuzione, connessione e allocazione del circuito, per rendere ogni punto luce, ogni presa e tutti i cavi coerenti con il piano di sicurezza e con le aspettative di comfort. Una volta appurato lo schema elettrico da seguire per rendere funzionale ogni locale, è importante decidere se l’impianto elettrico deve essere incassato o a vista.

Nel primo caso, si privilegiano la funzionalità e il senso estetico. A fronte di un costo sicuramente maggiore, l’utente potrà chiedere al personale esperto di inserire l’intero impianto all’interno della muratura, ottenendo un effetto decisamente più elegante.

Ci sono però anche alcuni locali in cui non è così importante il lato estetico: basti pensare a cantine, ripostigli o sottotetti. In questi casi, è possibile installare un impianto elettrico a vista, che abbatterà i costi ma farà dimenticare ogni componente legata al look. Sono molte le abitazioni in cui è presente un “mix” tra le due opzioni, con alcuni cavi a vista a dispetto dell’intero impianto incassato.

Sono questi i casi di un’errata progettazione dell’impianto, in cui i professionisti sono intervenuti in un secondo momento per perfezionare l’idea iniziale di distribuzione dell’energia. Nella progettazione, il professionista dovrà decidere anche la potenza da impegnare: se l’abitazione non supera i 75 metri quadrati bastano 3 chilowatt, oltre si sale a 6. Questi valori non sono impegnati costantemente, ma l’impianto deve “sopportare” tali potenze. Se l’impianto è già esistente, è possibile un potenziamento contattando l’azienda erogatrice.

3 Commenti

  1. Buongiorno.
    Ho appena acquistato un immobile e non e’ recente (anni 80). L’impianto elettrico e’ stato ristrutturato nel 2010 e gode delle certificazioni rilasciate all’epoca.
    Il mio dubbio e’ che volevo realizzare una cucina dotata di piano ad induzione, invece di quello a gas. A parte il discorso contrattuale con il fornitore di energia, per passare da un contratto da 3.3kw ad uno da 4.5 o 6kw, a livello di impianto cosa mi tocca controllare per verificare che sia adatto ad ospitare il piano ad induzione?
    Occorre solamente fare eventuali controlli/lavori in casa, o devo farmi dare qualche certificato dall’amministratore di condominio per essere sicuri che tutto l’impianto sia a norma?

    • Buongiorno Daniele,

      Diciamo che la certezza di avere un impianto a norma si dovrebbe avere a prescindere dal tipo di elettrodomestico che si installa, quindi le consigliamo sicuramente di verificare a livello condominiale, prima di installare un piano a induzione, che l’impianto soddisfi tutti i requisiti normativi.

      Cordiali saluti.

  2. Un articolo scritto coi piedi, con informazioni imprecise e mal comunicate. Del tutto inutile a chi ha già nozioni in materia di impiantistica, assai poco utile a chi non ha alcuna nozione, per i motivi già enunciati.

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